Skip to content Skip to sidebar Skip to footer

MEDJUGORJE FASHION WEEK

Che cosa è un regime? Un dispositivo dove pochi se non uno, dominicalmente governano la maggioranza. La triste e squallida storia del ministro con la proto-influencer, che si spacciava per presidente della milano fashion week, fa capire il livello di approssimazione con la quale in Italia gestiamo marketing e commerciale delle nostre fiere semi pubbliche. Se le fiere , se le fashion week, diventano un archetipo di  un regime, l’intero movimento perde la sua forza. È delegittimato. La fiera diventa solo contenuto. Privo di ogni sostanza. Un palcoscenico fuorviante.  Non è più un momento creativo, né inclusivo, né sostenibile. È solo propaganda di regime. Una adunata che talvolta sembra posticcia, e che avvantaggia pochi in conflitto di altri. Così l’Italia risponde ai grandi oligopoli francesi? Così ci proponiamo di essere innovativi ? Un calendario stretto. Fatto per partire il sabato mattina comodamente per Parigi. Una serie di marchi e presentazioni abbastanza periferici.  La volontà di riempire il calendario con “tuttecose”. Il senso di un luna park anni 70. Tutto va avanti meccanicamente.  Stessi personaggi, stessi rituali, stessi palcoscenici. La sensazione è che più che una fiera sia un misto tra un pellegrinaggio a Medjugorje ( dove tutto è tranne che un posto miracoloso)  e un giro al Bar di Guerre Stellari ( la cantina di Chalmun n.d.r.). In Bosnia anche il Papa fa capire che forse non ci sono miracoli, c’è solo superstizione. Ma anche lui ahimè deve incoraggiare il   merchandising. Nel Bar di Guerre Stellari, non sai cosa bevi, vai li solo per incontrare gente di altri sistemi, provare a capire tu di che razza sei. Altre razze, altri problemi. Il tutto con un evidente spreco di energia. E la sensazione, quando esci dalla fiera che qualcosa non torni. Una ricaduta così costosa e negativa sul sistema da far drizzare i pochi capelli rimasti. Servirebbe una riforma? Possiamo considerare di rivedere  la leadership della fashion week a una nuova generazione? Qualcuno ha la voglia di teorizzare che il contenuto non ha nessun valore se il contesto è così prevedibile? Pensiamo insieme a come potremo trasformare una televendita, in una vera e propria nuova era italiana di creatività.  

TOO COOL O TUCUL

È normale vedere che nel mezzo dell’Antropocene un affollamento troppo nocivo anche nel mondo della moda italiana. Pur di essere tuttti( si tre t) fighi, siamo diventati tutti non fighi. Una serie di giornate, direi 4 o 5, dove a Milano( penso) si produce più monossido di carbonio che in Europa. Un gruppo di accoliti, 4/500 auto nere. Tutti a girare. Città intasata, pubblico qua e feste la. Camere a prezzi assurdi. Gruppi pop coreani alle sfilate. Presentatrici TV che creano collezioni.  Eventi accatastati. Una babele degna della relazione tra Dali e Amanda Lear. Non si capisce più niente.  A livello creativo o a livello divulgativo ? La situazione economica finanziaria di brands e commercianti obbliga ad una grande sobrietà di comportamenti e di collezioni. Le proposte sono cambiate. Si sente da più parti che le cose sono care. E che le sfilate non hanno merce vendibile. Ecco quindi che mentre in termini creativi e divulgativi sembriamo too cool, in termini di presenza sul mercato di certi prodotti “da show” siamo a zero. Abbiamo volumi di vendita bassi, magazzini alti  e prodotti creativi  tutto marginali. Ma la sfilata, la settimana della moda, può essere vissuta come un esercizio di prammatica ? Non c’è il rischio di sentirsi un po’ Mastrota ? Perche’ non si crea una nuova dimensione. Perche’ non affidiamo la regia ad un nuovo concept. Più giovane, meno adunata del PSI, e più aperto ai 30/trentacinquenni. Che abbiamo come obiettivo una nuova scena. Non si possono usare i “giovani” come li usa la chiesa, devono essere le nuove generazioni a decidere.

PREZZI CELSIUS E FARENEHIT

Riempendo le settimane della moda( 150 ore) con almeno 25 marchi ancillari , ci si rende conto , che in Italia la presenza creativa sta scivolando verso il basso. I prodotti delle sfilate, tra le altre cose( ad esempio questi di pe 25) verranno consegnati tra marzo e aprile 25. Quando già in giro c’è chi fa il -30% di sconto. E quando dopo 15 giorni il 15 maggio inizieranno i saldi ufficiali nel mondo Usa, Anglosassone ed in Germania. In pratica, prodotti che costano molto e che sono destinati a vendere relativamente poco, con poco margine. Mi si dirà che quello che conta è un effetto volano. Dare energia, dare la scossa. Io temo talvolta che invece si trasmetta solo paura. C’è un riscaldamento della situazione evidente. La settimana della moda energizza l’ambiente sì ma in negativo. Si respira che non sia questo il modo di contrastare lo strapotere finanziario della Francia. La collusione della stampa ne è il tornasole.

Non è possibile mettere in calendario Chicco Mao e Huimilano ( non li conosco e mi scuso non vorrei offenderli, ma non ho trovato prodotto neanche in rete, neanche su Tmall) , aziende ghost semi cinesi. E non trovo giusto che un board di CNMI(  fatto di gente super preparata) non vada a vedere con attenzione chi prendere e chi non prendere. La scelta di fare “tanta roba”, anziché di premiare la qualità italiana, è una scelta non giusta. E di conseguenza, non trovo  sia eticamente corretto, dare il “premio al maestro italiano dell’eccellenza”( ebanisti, sugheri etc. etc.) sponsorizzati da LVMH. La nostra settimana della moda, oramai trasformata in un (e)vento più mediatico che di business si apre a tante troppe cose. Fino al punto che non sappiamo più riconoscere effettivamente non solo la vendibilità della merce, ma anche le logiche economiche che sono dietro certe presentazioni ed eventi. A tutti sembra che sia stato un successo ( in fahrenheit), ma i dati andrebbero letti in celsius.

SFASHION WEEK

Inditex nel 23 ringrazia . È cresciuta del 10%, abbattendo i costi del venduto unitario, e riducendo il magazzino. Però noi in Italia, facciamo i sustainable award come? Aumentando a dismisura i prezzi di acquisto e di vendita. Obbligando i cittadini italiani a vendersi il rene per un pantalone. Abbassando i margini.  Non possiamo ripensare il tutto? Non possiamo cominciare con il dire :

–               Costruiamo prodotti più abbordabili

–               Evitiamo listino a 4 cifre

–               Leviamo questa inutile eventificazione( 4 fashion week, + 2 premi) smog e traffico ovunque, unico obiettivo aumento dei prezzi e malumore

–               Facciamo un award per prezzi umani e per promozione di brand italiani che resistono.

E ne potrei dire molte altre, tipo accademie, scuole, corsi , non solo di manifattura.

Mi si dice sì ma questa è l’acqua calda. Tutti lo sanno. Ed infatti la costruzione di oligopoli tra Francia, Spagna e Cina, così ben rappresentati dalla permeabilità delle istituzioni che progettano le fashion weeks, porteranno sempre di più ad una infinita provincializzazione dell’Italia. Sia come brands, che come consumo. È questo quello che vogliamo ? Gli Stati Uniti ci sono già nel pieno della de brandizzazione locale. L ’Inghilterra è diventata con il calo di Burberry una sorta di campo di battaglia. Ma in Italia , siamo sicuri che dobbiamo solo gestire la moda con 10 marchi e 10 famiglie ? La oligopolizzazione del settore a mio avviso ci può stare, i grandi si vogliono difendere. Ma non si può fasciare un movimento per favorire dei passaggi generazionali.  Non sono un economista ma mi preme ricordare che gli impatti su tutto il nostro sistema sarà deleterio. Un po’ di punti  :

1.          Riduzione della concorrenza: quando i cartelli controllano un mercato, possono eliminare efficacemente la concorrenza impostando i prezzi e controllando l’offerta. Questo può creare un ambiente ostile per le piccole imprese e gli imprenditori che non hanno le risorse per competere con aziende più grandi;

2.           Accesso al mercato limitato: i cartelli spesso controllano l’accesso ai mercati, rendendo difficile entrare o espandersi le piccole imprese e gli imprenditori. Questo può soffocare l’innovazione e la creatività e limitare il potenziale per la crescita nell’economia;

3.          Prezzi più alti: i cartelli possono aumentare i prezzi limitando la fornitura e creando scarsità artificiale. Ciò può comportare prezzi più alti per i consumatori, rendendo difficile per le piccole imprese e gli imprenditori competere sul prezzo;( punto importante per la produzione)

4.          Difficoltà finanziaria: le piccole imprese e gli imprenditori spesso fanno affidamento sui prestiti per iniziare o espandersi. Tuttavia, la presenza di cartelli può rendere difficile garantire finanziamenti, poiché i finanziatori possono considerare il mercato troppo rischioso;( siamo già qua)

5.          Innovazione ridotta: i cartelli spesso soffocano l’innovazione controllando e limitando l’accesso ai mercati. Cio’ può limitare lo sviluppo di piccole imprese  e il bloccare gli  imprenditori per nuovi prodotti e servizi( incredibile il ritardo digitale italiano).  

Lo so. È una visione semi orwelliana. Anzi Junghiana. Ma c’è una situazione molto diversa tra il mercato italiano ed i grandi brand con nome italiano. Si potrebbe costruire un gruppo di professionisti che sappiano descrivere la reale situazione, magari coinvolgendo , PMI, Retailer, Agenti, Operatori Digitali, Operatori Logistici. Se tutto verra’; deciso a corte, molti si dividono le brioches, gli altri non avranno  il pane. Aprire una riforma, sarebbe costruttivo.Anche perche’ tra non meno di 5 anni molti show saranno concepiti dall’intelligenza artificiale come la pubblicita’. e allora?

DA MONARCHIA A REPUBBLICA . DA ORWELL A JUNG

La dispersione di risorse per tenere in piedi queste strutture pantagrueliche  di fiere è molto alta. La necessita di visibilità ad ogni costo, fa perdere la percezione generale della situazione. Un inconscio generale un po’ troppo collettivo, tendente al collettivizzato. Una organizzazione propagandistica  che ripropone lo stesso palinsesto, facendo, evidentemente a cazzotti con il budget( e li capisco, perche’ l’oligopolio, in realtà non investe su questo modello, lo pilota e basta) , è destinata a perdere.

Serve un cambio con 5 mosse :

a)          Unire Uomo e Donna / concepire canali media unificati a tutti i livelli.

b)         Dare spazio a brand solo che riportano a società e gestione e tracciamento italico  e realmente in vendita;

c)          Costruire un team marketing centralizzato ed un creativo che gestisca la fashion week da solo, senza le influenze dei grandi marchi( un po’ come è stato deciso a Sanremo, mettere un direttore creativo e non un direttorio( attenzione dopo il direttorio viene il consolato));

d)         Equilibrare eventi, sfilate e presentazioni, dando pesante spazio e maggioranza anche a brand indipendenti e adatti al nome di pmi ;dare un cap alle presentazioni.

e)          Unificare tutte le fiere sotto una unica egida :micam, pitti, Mipel, Linea pelle, Fashion week, White, etc. etc.  in pratica tutte le organizzazioni, ridando forza e visibilità ad un movimento  e non a organizzazioni statiche come un monumento.  Non si puo essere rilevanti  solo con 20 marchi di dominanti. Serve la premier League, la NBA dell’industria della moda.

Una moda meno irregimentata e rigida. Meno stereotipata, che pensi ad attori e consumatori italiani. Che torni a brillare non solo sui media cinesi , ma sulle strade e nelle serate italiane. Una moda che faccia tornare Milano ad essere  il faro che illumina e non che controlla come prigionieri di un lager,  l’intero sistema italiano.

Una moda inclusiva e naturale, dove venga dato spazio non solo a brands di grandissimo capitale , ma anche a movimenti creativi indipendenti.

Così come viene concepita, l’intera kermesse rischia di essere un po’ come i Telegatti del 1997 ( dove si premiavano insieme Katia Ricciarelli e Michael  Jackson) . Un grande varietà, tendente ad una funzione religiosa ricorrente ( effetto processione) con statue, santi e doni votivi . Al contrario va affrontata e  ripresa con  più tecnicismi di marketing e commerciali. Non scopiazzando Parigi, e difendendo a spada tratta la italianità’. Certo si deve dare sempre al pubblico un senso di leggerezza, senza però cadere nella tentazione dei monarchi illuminati autoincoronati che banchettano in centro e che lasciano le granaglie alla plebe

Leave a comment

Close