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THE BUSINESS OF FUFFA*

È caldo . Proviamo a vedere come uscire indenni dal Ferragosto. Scrolliamo ! Che noia .Ogni giorno un miliardo di contenuti moda. Di questi la meta sono pubblicità. Un 40 % cose trite ed inutili. Il  5% è Truman show di chi ci lavora( una processione di feste, spacconerie e di euforie stile edonista forever). Una orgia di contenuti molto simili e annoianti.  Ma l’ultimo 5% % è disinformazione.  Già la disinformazione come la corruzione è un problema del nostro business. Forse il primo. Nell’anfiteatro della crisi non si vuole interrompere nessuna recita. Il Panem et circenses arriva fino la fine , in un noioso e sanguinario spettacolo di Ceo  e Stilisti ridotti a lottare come  gladiatori flaccidi e stanchi. Passano solo notizie piene di felicità e di ottimismo,  molta autoreferenzialità’, ma nessuna concreta presa di coscienza.  Mentre chi costruisce la macchina della shitstorm lavora operoso e senza sosta. Nessuno vuole riportare la sobrietà del reale nel business. E così come le infinite ed inutili litanie  economiche  che dobbiamo sentire e leggere , il condizionamento di queste sirene influenza, stordisce e  distrae tutti coloro che a settembre dovrebbero tornare carichi. Una nebulosa densa di Fentanyl , sudata e posticcia  come un parrucchino anni 90. L’informazione di moda e di business,  con contenuti degni di Rocky IV rallenta, opacizza  e annacqua la prossima evoluzione e prova a condizionare i poveri lettori. Diciamo basta e lottiamo per una informazione seria gratuita e senza intrusi. E soprattutto con interventi di professionisti autorevoli e senza il minimo rischio di contenuti servizi di ciarlatani prezzolati.

Le armi di distrazione di massa esistono. E così ogni giorno assistiamo a spot inutili e vuoti sui nostri cellulari. Notifiche che riescono a raggiungere il paradossale, come quella di ieri di BOF. “Can ‘Emily in Paris’ Catapult Vestiaire Collective into the American Mainstream?”, 925 like dopo 9 minuti. In pratica un articolo a favore di una compagnia che è di proprietà di 3 dei più grandi fondi del mondo, Conde’ Nast e di Kering, e che negli anni ha solo costruito perdite, viene “comunicata” con il pretesto di Emily in Paris. Vi invito a leggere i 44 commenti e capirete il resto. Se invece Yoox va male, tutti a parlarne malissimo e a cantare la messa funebre….

Malati di Nuovo

La tragicomica fine di Eco- Age che per circa 5 anni aveva deturpato il centro di Milano con il Green Carpet , è passata veramente per defilata. La prima volta che una compagnia fallisce per attività criminali…. Silenzio tombale.  Mi domando perche’ se fallisce un retailer o un brand viene subito messo da parte come un lebbroso, e perche al contrario …. Viene taciuto uno dei tanti …. Buchi dei radical chic della moda. Potrei continuare per ore, ma mi fermo al succo. Pur di comunicare qualcosa, facciamolo in maniera di guadagnarci sopra. Questo è lo stato della comunicazione di moda in Italia ed in Europa. Tutto è fatto solo per denaro. Così i congressi, così i seminari, così gli eventi. Gli eventi diventano il centro della contenutistica, perche’ si deve parlare di abitudini e di appuntamenti, ma mai si deve parlare di concretezza.  Gli artigiani della banalità sperano di continuare cosi a lungo. Non credo , vedo molto dissenso crescere e vedo nuove penne sorgere.

Reale Vs Realtà

La situazione della stampa e della contenutistica è un bel segnale della psicosi di massa del settore.

Un settore che rifiuta il suo nuovo cuore pulsante, il digitale, e lo demonizza. Un settore che non si accorge che la distanza di 50 anni di media tra i leader padronali ed i consumatori abituali è un fattore critico( age Gaping).

Un settore che dipinge attraverso docili piattaforme una realtà che è stata trafitta dal reale pesantemente.

Un reale che porta brutti risultati, e che spicca per  assenza di soluzioni. Un reale che fa vedere la fine del materialismo della scalabilità e richiama tutti ad una assenza di creatività. Un real che ha messo in ginocchio una parte dell’industria che tanto celebrava.

Ma la creatività, vero polmone del business è spenta dalla comunicazione, e quindi la realtà deve restare per forza questa. Una strategia di indottrinamento forzato( Pharrell Williams che porta la torcia olimpica) , più 70 post di Vogue per le olimpiadi … che necessita di prendere la scia di ogni altra notizia, sport cinema, tv, pur di restare al centro.

Ma mentre la realtà va in una direzione, il reale, è li. Da solo , come un macigno. E come stride la forza creativa di eventi e cotillon, con la solitudine di imprenditori e manager dinanzi le soluzioni da trovare. Molti di questi, non hanno né Euriazeo, né Conde’ Nast , né tanto meno Kering. Sono da soli e sono schiacciati.

Un reale che vede le autorità italiane ferme, In posizioni di attesa. Spaventati di cosa succederà , e nel dubbio, senza nessuna reazione . Meglio comunicare fuffa, che non dire le cose come stanno. Facciamo un cocktail.

Eppure, è chiaro, che se continuiamo a trasmettere questa percezione superficiale e diafana, chiunque, dai dipendenti ai clienti, ai consumatori, si stancheranno di questo principio. E si allontaneranno da questo prodotto simile alle puntate di “Ballando con le stelle”, con articoli e interviste a Vip di serie B e C. Avremo solo un business di serie D. La stessa fine di Cinecitta’, un misto di San Remo incontra l’isola dei famosi. Il Frankenstein del lusso in ciabatte.

Illesa Maestà

Le immagini delle barche spiaggiate nella tempesta del 14 di Ferragosto a Formentera, sanno racchiudere in pochi istanti la nostra situazione. Con la piccola differenza che … a Formentera il sole è già tornato. Mentre nel nostro settore le barche non solo spiaggiano, ma affondano. Il ruolo della stampa da sempre è legato alla costruzione di una coscienza.

Quello che accade nel nostro mondo è che si sta costruendo l’incoscienza. Forse anche peggio l’incompetenza. Gli stessi giornalisti radical chic che criticano il governo di destra dell’Italia repubblicana, allo stesso momento pur sostenendo il fashion pact( costruzione tecnica per mettere nei guai l’industria italiana) e spendendo miliardi per la sostenibilità difficile da concepire, non perde occasione per avere promo ed editoriali per aziende di fast fashion.Si contano in italia , il doppio di negozi delle 3 grandi aziende fast fashion, piu di 1800 , in francia 900..

Questa situazione meriterebbe una analisi . No meglio stare zitti.  Perche’ la stampa non comincia a segnare in rosso , gli articoli legati ai loro investitori ( esempio di Bof) e/o ai loro inserzionisti. Perche’ in una epoca dove spingiamo la trasparenza dei prodotti non iniziamo a spiegare bene quali articoli sono seri e liberi e quali no?

Perche’ non esiste una responsabilità diretta delle cose che si dicono e si fanno? Ricordo molto bene come fu pompata, l’ignara Ferragni nel CDA di Tod’s e poi ( anche se sono certo non legato al Pandoro gate) alla  chetichella fu liquidata. All’epoca, l’influencer serviva nel CDA .

E quindi anche a livello di comunicazione economica, ogni cosa è buona pur di condizionare il titolo. Io non voglio demonizzare questa pratica. Io vorrei solo che venisse fuori netta, la linea di demarcazione tra articolo firmato e velina di regime. Perche’ non dedichiamo finalmente una vera parte critica al giornalismo del settore e la smettiamo di costruire salotti pieni di commenti stereotipati?  Gli articoli che leggiamo invecchiano male. E da quando c’è di mezzo una serie di titoli in borsa, sono tutti pieni di strafalcioni. Tutti pronti la mattina ad osannare e la sera ad affondare. Chi protegge il lettore? Il lettore, l’osservatore, si sta facendo una percezione. E se questa percezione va dove penso io, presto.ci sarà una serie di rivolte. La prima sara’ quella di non comprare piu’ moda.

Il male della Banalità

La mancanza di pensiero critico è alla base di ogni banalità. Gonfiare il tutto di banale. Fare classifiche e proclami non ci aiuterà . L’obbedienza cieca al Dio Ebitda e agli uffici stampa, possono condurci ad atrocità operative.

Nelle aziende, sono in atto attività di castrazione della soggettività. I giovani vengono educati alla cieca obbedienza dell’abitudine gerarchica. E poi come oggi sono inermi ed inerti di fronte problemi che hanno anche paura a descrivere e leggere. Si evince l’obbligo da parte di chi è anziano ed esperto di iniziare una fase di nuova veicolazione di comunicazione.

Non più solo prona ai dettami del business correct( vedo ad esempio quanto a fatto male raccontare a tutti che nel mondo c’è bisogno di più lusso e così hanno tutti aumentato i prezzi e ridotti i margini) ma ai riflessi concreti sul mondo del business. L’Italia perde ogni giorno la competitività ed ogni giorno vende anzi svende  un suo pezzetto ai francesi. Per prendere i loro trenta denari, i grandi comunicatori non ci dicono che , abbiamo e stiamo banalizzando il movimento di 80 anni , in una stupida accolita di produttori. Serve che coloro che guidano ( se c’è qualcuno) questo movimento , inizino a concepire alcune regole base del modello di comunicazione.

Anzitutto costruendo una contenutistica più concreta e non fine a sé stessa, e poi iniziando a gestire con senso critico e indipendente la situazione sia a livello economico , che sociale.

La moda resta un fenomeno sociale e culturale in Italia, e se la si trasforma in un “Cinque du Soleil” rischia di non poter essere più in grado di attraversare nulla oltre la percezione di snobismo antipatia e superiorità e distanza verso il nuovo pubblico.

Lo stesso dicasi per la parte manageriale. Una ricerca di visibilità fatta sola di successi, decorazioni e trionfi sul campo. Interviste e descrizioni stile Brad Pitt , assenza di giudizio e di concreta valutazione. Alla fine di ogni articolo, non sai mai se le mitiche imprese dei managers descritti hanno fatto bene o male. Molti di loro sono generali di cartapesta, addestrati in società di consulenza, con piccole grandi credenze mutuate, appunto dalla stampa, o dalle accademie da cui provengono.

Molte delle scelte messe in atto recentemente, eliminazione wholesale, fine delle categorie, margini bassi, uccisione del senior management, apertura di retail inutili, hanno finito per essere un boomerang. Non pensiamo che queste cose , siano nate solo nella testa del leader.

Molti pensieri sono nati nel concetto della banalità , del fare le cose fighe vicine al lusso e così a soli 36 mesi queste cose pesano. C’è ancora speranza. Ma oltre le cose tecniche serviranno giornalisti e commentatori coraggiosi e capaci, di aiutare il modello italiano a riprendersi.

Non ultimo a poter ridare orgoglio voglia e coraggio a tanti tantissimi giovani manager che sono li a vedere il reale e che sono castrati da una realta’ posticcia che li rende inutili e soprattutto inespressi.

L’Italia terra di talenti e di belle teste, fatte per la moda, non può stare alla merce di considerazioni, gestioni e decisioni, fatte agli Hamptons, o nei ritiri dorati di Belgravia. Liberiamoci dell’impero della fuffa e torniamo a spingere su mercato e filiera locale.

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